LA RICERCA DI SENSO NELLE IMMAGINI
Nel Gennaio del 2016 il Museo della Fotografia del Politecnico di Bari propose un workshop progettato dal fotografo
Mario Cresci, “La Ricerca di Senso nelle Immagini”,
condotto poi dallo stessi Cresci.
Il Fotografo ligure, che vive e lavora a Bergamo,
è molto conosciuto in Puglia per aver vissuto venti anni a Matera e per il suo impegno oltre che nella città lucana,
anche nel nostro territorio, soprattutto a Bari dove ha pubblicato alcuni testi editi dalla Laterza.
In quel piovoso gennaio del 2016 avemmo la singolare occasione di essere ospitati all’interno della prestigiosa sede dell’Acquedotto Pugliese a Bari, per un’analisi visuale degli interni a cui prese parte un gruppo di fotografi giunti dalla Puglia, dalla Basilicata e dall’Abruzzo.
Negli anni dello sperimentalismo e dell’avanguardia che contraddistinsero una buona parte del Novecento,
Alfred Stieglitz per esempio, prima con Camera Work e poi con “Equivalents”, aveva posto l’attenzione sullo spostamento di senso di quelle immagini che erano nate dalla semplice esclusione dal fotogramma di ogni contesto paesaggistico di terra, per orientarsi verso i cambiamenti di luci e le forme delle nuvole,
in un concetto di astrazione che solo la fotografia poteva cogliere, assecondando la sua idea di allontanamento dalla realtà.
I partecipanti al Workshop partendo dai temi dominanti all’intorno del maestoso Palazzo di Via Cognetti in Bari, si imbattono con le opere del grande esponente italiano dell’Art Nouveau, come ad esempio la simbolica presenza dell’acqua, Fonte di Vita, declinata sotto varie forme, e le tante espressioni grafiche, pittoriche e progettuali.
Nel loro percorso furono accompagnati al superamento delle caratteristiche peculiari del luogo per entrare in una dimensione profondamente libera e creativa in cui ogni immagine avrebbe avuto quel tanto di “artificioso e predisposto” tanto da orientare il senso del reale verso una fotografia il più possibile interiorizzata e soggettiva.
Come affermava lo stesso Alfred Stieglitz, le immagini “si formano dentro di noi!”
I ventidue autori della mostra
LA RICERCA DI SENSO NELLE IMMAGINI sono entrati
nel Palazzo di via Cognetti, sede dell’Acquedotto Pugliese,
con emozione.
Lo straordinario oggetto architettonico progettato e dall’ingegner Cesare Brunetti e dall’eclettico artista Duilio Cambellotti, sono un esempio unico di un Tempio dell’Acqua, dove arredi, dipinti, affreschi, fregi, preziosi mobili “parlano” di quell’essenziale elemento che è origine di vita e di prosperità.
I due autorevoli progettisti si sono ispirati ai Castelli medioevali pugliesi per dare slancio e nobiltà all’intera costruzione.
“Superato il portone d’accesso lo zampillo perenne di una fontanella sgorgherà tra figurazioni simboliche del rigoglioso rifiorire delle Puglie dissetate dall’acqua del Sele” scrive l’ing. Cesare Brunetti.
L’interessante lavoro dei fotografi si è svolto mentre all’esterno una pioggia battente inondava strade e i marciapiedi picchiettando sui vetri delle finestre del palazzo, quasi ideale osmosi tra esterno ed interno.
Angela Mongelli affascinata dai bassorilievi marmorei, coglie nella prosperità delle anfore, il riferimento storico che Cambellotti dedica al mito dell’antica Roma.
Aniello Coppola trascende la realtà mediante raffinati segni di fantastiche visioni di alcuni dettagli degli interni, proponendoci oniriche composizioni.
Annarita Perna coglie le flessuose curve lignee di artistici mobili sui quali sapienti intarsi di forme geometriche e di figure femminili stanno a ricordare rigogliosi fiumi.
Anche lo sguardo di Antonio Tevere è attratto da sfumature e giochi cromatici dei preziosi mobili d’epoca; il Fotografo si sofferma sulle figure di animali scolpite in armonia col design di raffinati tavoli ed eleganti sedie.
Carla Cantore nei suoi scatti ha rappresentato simbolicamente l’acqua con corrispondenze ed analogie, affascinata dai “riflessi sulle pareti in alto che sembravano rimandare alla presenza di una piscina all’interno dell’edificio” come la stessa Cantore scrive nel commento.
Carmen Milone volge lo sguardo fuori, verso la città, la cui immagine giunge romantica e imprecisa attraverso finestre segnate dalla pioggia o “filtrata” dalla trama di bianche tende di mussola.
Chiara Loiudice coglie alcuni particolari architettonici della struttura riproducendo, con abilità compositiva luoghi e suppellettili, luci ed ombre, ispirandosi alla scena di un “noir”.
Cristina Mastrototaro perfettamente ambientata nel luogo di indagine, osserva interni ed esterni “deformati” dal movimento dolce delle acque: un flusso lento e sentimentale.
Domenico Fornarelli proietta, nel gioco di piani sovrapposti, il dubbio metafisico delle scelte da intraprendere; in un mondo in cui “il processo di disgregazione delle certezze è in stato avanzato” l’individuo è alla ricerca del cammino.
Elisabetta Castoro percepisce le sfumature della Bellezza dell’arte di Cambellotti declinata nella ricchezza dei diversi materiali e di pitture murali. La Fotografa scrive “Mogano, ciliegio, frassino s’intrecciano…Marmi lucenti riverberano…Vesti pregne di vento richiamano zoccoli e fanciullesca grazia…Cascate d’acqua vivace prorompono, dissetano..” regalandoci professionali visioni della sua sensibilità.
Emanuela Amadio incuriosita dai riflessi di luce segue le tracce dell’artista romano in una proficua verifica tra io e sguardo. Le sfumature di celeste le indicano la strada da seguire in sintonia con la sua sensibilità percettiva.
Fabrizio Cillo privilegia le relazioni grafiche con le onde marine. Mette a confronto materiali e profondità dei segni, icone inconfondibili dello scorrere dell’acqua, cogliendo in Cambellotti quel dinamismo futurista che affiora qua e là nelle sue opere.
Giovanna Sodano propone la visione, per ogni foto, di una coppia di immagini sovrapposte la cui lettura semantica fa pensare ad un’iconografia fantastica, eterea e surreale. Il gusto estetico della Fotografa, incline alla creatività, duplica nuova arte dall’arte.
Giuseppe Bruno vede nei dipinti e nelle opere che rappresentano l’acqua, la metafora della vita. L’acqua è come il sangue che scorre nelle vene ed alimenta i corpi. La sua fotografia privilegia le iniziative legate all’attività dell’uomo e degli animali.
Marisa Innamorato possiede una visione ampia della realtà che sa soffermarsi sull’altrove. Particolari “non visibili” al visitatore comune. Coglie la texture delle gocce di pioggia sulla superficie lucida e brillante, ma anche l’essenza di variazioni cromatiche sulla tela. Sa scrutare nell’anima delle cose.
Maura Potì elegge la Fontana (metafora dell’imponente opera idraulica, come riportato da Cesare Brunetti) a luogo di interesse delle sue ricerche. E’ nello specchio d’acqua che vede spumeggiare alcune figure mitiche: La Regina, il Cavaliere, la Danzatrice. Un perfetto equilibrio tra realtà e finzione.
Paolo Moretti è il visitatore attento e giustamente curioso. Sa ben cogliere gli spazi architettonici e la vegetazione sin dall’inizio del tour. E’ l’approccio del paesaggista conscio di trovarsi davanti ad un luogo fuori del comune, un Teatro dove l’Acqua è sovrana.
Rita Ostello è attratta dalle simmetrie geometriche che hanno dominato il design e l’architettura del primo novecento.
La Fotografa coglie la dimensione del segno grafico dell’artista, che pur fedele allo spirito del tempo, seppe riproporre uno stile molto personale e riconoscibile.
Rossella Mazzotta nell’inconsueta visita ai laboratori chimici del palazzo, grazie alla naturale creatività e al sapiente uso del teleobiettivo, presenta immagini fantastiche di alambicchi e pipette in vetro, sospesi nell’azzurro del “cielo”.
Umberto De Palma riprende particolari e tracce dell’inesorabile scorrere del tempo, parallelamente al fluire dell’acqua
(E’ passata di acqua sotto i ponti!) Il suo sguardo critico e impietoso registra piccole sbavature del passato, segni del quotidiano di un’epoca che ora non c’è più.
Vito Marzano raffigura i bellissimi mobili ed arredi che Cambellotti ci ha lasciato a testimonianza della sua arte. Il Fotografo compie un’interessante operazione concettuale collocando persone in carne ed ossa del mondo contemporaneo negli spazi ancorati nel passato. Un salto brusco e traumatico tra due epoche, quasi fantascientifico.
Yvonne Cernò ci propone un notturno del Palazzo illuminato, lucente e vuoto come un Castello di Fate. L’acqua piovana che accarezza le mattonelle del lastricato del Grande Giardino dà l’impressione (magica finzione della Fotografia!) che l’acqua invada l’intero pavimento del Tempio dell’Acqua, una metafora di grande impatto emotivo.
Bari agosto 2018 Pio Meledandri
GALLERIA COMUNALE SPAZIO GIOVANI Via Venezia, 41 – Bari