
Le ossa di San Nicola. Foto scattata in occasione della ricognizione canonica del 1953.
Nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1953 fu eseguita – alla presenza di una speciale Commissione Pontificia, presieduta da S. Ecc. Mons. Enrico Nicodemo, Arcivescovo di Bari – la ricognizione Canonica dei resti scheletrici rinchiusi nella Tomba di S. Nicola, situata sotto l’altare maggiore della Cripta della Basilica Nicolaiana di Bari. Questa ricognizione costituiva un avvenimento assolutamente eccezionale, dato che per ben 866 anni nessuno aveva potuto toccare ne vedere le Ossa del nostro Santo Taumaturgo, ne d’altronde la Chiesa sarebbe mai addivenuta alla decisione di fare la ricognizione dello scheletro presente in questa tomba, se non fossero stati urgenti ed indispensabili alcuni imponenti lavori di restauro e di consolidamento della Chiesa con opere interessanti le pareti e il pavimento stesso della Cripta. La necessaria rimozione temporanea dei pesantissimi lastroni ricoprenti la tomba ha concesso di portare allo scoperto ed all’esame diretto il complesso dei resti ossei, che nel lontano 1089 furono collocati dalle stesse mani di Papa Urbano II nel fondo del loculo monolitico della tomba. A me fu dato l’incarico di riconoscere ed elencare i pezzi ossei esistenti e quelli mancanti dello scheletro contenuto nella tomba scoperchiata; in tale indagine anatomica fui aiutato dal collega dottor Alfredo Ruggieri, medico di Bari. Il loculo (aperto verso le ore 23 del 5 maggio) mostrò nel suo fondo rettangolare ossa sparse senza alcun particolare ordine sistematico (il che dimostrava che non era stato di certo un conoscitore di anatomia ad averle precedentemente deposte), con il cranio situato al centro di una estremità del loculo, e con i pezzi, in parte frammentari, di ossa lunghe e di ossa brevi accumulate irregolarmente di torno; il cranio era ben collocato con la base poggiata in basso. Insieme ai minuti frammenti ossei, presenti in gran numero, abbiamo trovato anche del piccolo pietrisco, che presumibilmente dovette essere stato trasportato nel momento del frettoloso trafugamento delle ossa effettuato dai coraggiosi marinai baresi.
Tutti i pezzi ossei si trovavano immersi in un liquido limpido, simile ad acqua di roccia, occupante il fondo del loculo per l’altezza di circa 2 cm; le parti delle ossa che sovrastavano al pelo dell’acqua risultavano tutte umide, mentre tutti gli spazi midollari delle ossa spugnose sbrecciate si trovavano colme di acqua e abbondantemente gocciolanti al sollevamento dei pezzi scheletrici.Devo dire che, dopo la estrazione di tutti i pezzi ossei e di tutto il liquido, il loculo fu ben prosciugato ed accuratamente esplorato nelle sue pareti a forte illuminazione: il loculo risulto monolitico, di pietra compatta e dura e privo di qualsiasi incrinatura nelle spessissime pareti. Lo scheletro e risultato appartenente ad un solo e ad uno stesso individuo ed è costituito da ossa molto fragili e molto frammentate. Il cranio é di esso la parte meglio conservata, il che fa credere che sia stata anche oggetto di maggiore attenzione e pertanto la parte maggiormente protetta durante le operazioni di trafugamento. Il cranio è completo nei suoi segmenti e manca soltanto della metà posteriore della emimandibola sinistra; i denti sono presenti in gran numero ed alcuni si trovano ancora infissi nei loro alveoli.
La colonna vertebrale e ridotta in frammenti: vi sono tutte e cinque le vertebre del segmento lombare, ma soltanto alcune vertebre del segmento cervicale (la seconda e la settima depezzata), quattro vertebre del segmento toracico in gran parte depezzate, ed unicamente la porzione centrale della base dell’osso sacro. La gabbia toracica è ridotta esclusivamente alle porzioni posterolaterali di quattro coste ossee del gruppo centrale del lato di sinistra e ad una costa bassa dello stesso lato; manca anche dello sterno. L’arto superiore è molto frantumato e depezzato: e rappresentato soltanto da alcuni brevi pezzi superolaterali delle scapole, da un pezzo centrale di un omero, dalle ossa infrante dell’avambraccio e da numerose ossicine dei carpi, dei metacarpi e delle falangi. L’arto inferiore e meglio conservato: dell’osso dell’anca si è trovato però soltanto l’ileo di sinistra, mentre sono perdute le parti restanti, oltrecché le parti superiori dei due femori e gran parte dei peroni. Si sono trovate le rotule, le tibie, e numerose ossa dei tarsi, dei metatarsi e delle falangi.
Quasi tutte le ossa si sono presentate non solo frantumate, più o meno estesamente, ma anche molto spesso sbrecciate per superfici e profondità di varia ampiezza.
Questo complesso scheletrico, che, successivamente alla ricognizione, fu conservato in un’urna di vetro ed esposto alla venerazione dei fedeli per quattro anni (per il periodo cioè che e stato indispensabile per la esecuzione dei lavori predetti di restauro) è stato alla fine sottoposto ad un secondo esame anatomico, precisamente ad un esame antropologico, nella notte tra il 7 e l’8 maggio 1957, subito prima della rideposizione, con lo scopo di fissare e conservare le immagini e le caratteristiche dei singoli pezzi ossei, oltrecchè con il fine, più importante, di ricostruire la figura fisica, ed eventualmente la figura pittorica, del soggetto a cui lo scheletro appartenne. In tale operazione antropometrica mi sono giovato della collaborazione dei miei colleghi dott. Ruggieri Alfredo e dott. Venezia Luigi. Le tecniche da me adottate per tale lavoro antropologico sono state svariate, ed alcune di queste – da me ideate – sono state anzi messe in atto per la prima volta in occasione dell’esame ricostruttivo suddetto: io le descrivo minutamente in una ampia relazione scientifica che ho presentata alle Autorità Ecclesiastiche, alla quale relazione sono state annesse anche le numerose riproduzioni fotografiche e radiografiche delle parti scheletriche esaminate, oltrechè le tabelle dei valori metrici effettivi riscontrati nelle misurazioni delle ossa ritrovate. Uno studio lungo e paziente, effettuato con una metodica sistematica, mi ha permesso in secondo tempo di riconnettere tra loro i frammenti presenti di ciascun segmento osseo depezzato e poi di ricostruire tutto quanto lo scheletro articolato, in modo da conoscere infine di esso anche tutti i valori metrici presumibili secondo i rapporti di proporzionalità. Lo studio del complesso dei dati antropometrici, siffattamente raccolti ed elaborati, ci ha potuto fare effettuare molte ed importanti considerazioni. I resti ossei appartengono ad uno scheletro multisecolare, cosi come lo dimostra il fatto che essi sono estremamente fragili, assottigliati nello spessore, intimamente impregnati di pigmento brunastro, e molto frantumati.
La presenza dei numerosi frantumi ossei ci fa capire che i pezzi scheletrici, sottratti dai marinai baresi dalla tomba di Mira, dovettero essere gia in quell’epoca stessa, nel 1087, molto facilmente friabili e pertanto gia da allora di conservazione secolare. É presumibile che nelle operazioni dell’affrettato trafugamento, dovette essere trasportato, insieme alle ossa, anche del pietrisco, e che non fu più possibile, ai nuovi depositari delle reliquie, riconoscere e separare il pietrisco stesso dalle ossicine brevi e dai più minuti frammenti ossei. I resti scheletrici sono appartenuti inoltre ad individuo di età avanzata, e precisamente ad un uomo di età superiore ai 70 anni.
Ciò e dimostrato dal fatto che le ossa – in rapporto alla corporatura – presentano rilievi ed impronte abbastanza ben sviluppati, quali sono appunto più facilmente riscontrabili nei soggetti di sesso maschile. Il cranio infine dimostra una avanzata sinostosi delle suture della volta, anche delle pareti laterali (oblilaterazione delle suture temporo-parietali), quale si prese nta precisamente negli individui di età superiore al settimo decennio. I dati anatomici, che abbiamo fino a questo momento descritti, non sono quindi affatto in contrasto con la tradizione storica che ammette che lo scheletro in esame sia appartenuto al Santo Vescovo di Mira, Nicola di Patara, Patrono di Bari. La cronaca storica ci fa sapere che S. Nicola morì intorno ai 75 anni (secondo alcuni pero a 72 anni e secondo altri a 80 anni), il 6 dicembre 350 dopo Cristo, 1607 anni fa. Nel 1087, epoca del trafugamento e della traslazione delle Sacre ossa, erano quindi trascorsi di già 737 anni; è comprensibile pertanto che, dopo più di 7 secoli, le ossa dovessero essere spiccatamente fragili e che dovessero facilmente frammentarsi, sia perché raccolte affrettatamente da mani robuste e non aduse a trattare oggetti molto delicati, sia perché la loro traslazione avvenne per via mare e presumibilmente senza sufficiente protezione dagli urti provocati dagli ondeggiamenti della caravella. L’aspetto che presenta il corpo della settima vertebra cervicale fa supporre che qualcuno, in quella circostanza, abbia voluto conservare una reliquia del Santo, asportando a taglio netto, con un forte coltello, una sottile fetta di osso. I resti ossei sono appartenuti ad individuo di media altezza e di corporatura compresa tra il tipo mediolineo e il tipo longilineo; si è potuto assodare infatti – a mezzo delle operazioni di ricostruzione – che la statura corporea in piedi deve essere stata intorno ai m. 1,67, che la larghezza delle spalle deve essersi aggirata intorno ai 40 cm. e che la circonferenza toracica deve essersi mantenuta sugli 86 cm. o poco al di sopra. Se noi per dare un’idea concreta e pratica volessimo adoperare guanti per mani delle stesse dimensioni di quelle del Santo o anche scarpe corrispondenti, dovremmo usare il n. 8 e rispettivamente il n. 41 (la mano è infatti lunga 19 cm. e larga 8,7 cm. il piede è lungo 26 cm. e largo 10 cm.).
La capacità del cranio è risultata media (cc. 1510) cosi come è risultata di valore medio la circonferenza cranica (cm. 52,4). La testa è di normale conformazione, appena tendente alla forma allungata (subdolicocefalia). La faccia è risultata in prevalenza corta e larga, nel contempo che il mento si trova spinto in avanti poco più che di norma. La fronte è ampia, le orbite sono piuttosto larghe, il naso è di medie dimensioni e leggermente prominente con radice ben incavata, gli zigomi sono leggermente sporgenti lateralmente, il palato è largo, il mascellare è leggermente prognato, la dentatura è robusta. Lo studio della dentatura ha dimostrato inoltre che il Santo fu portatore di una anodontia degli ultimi molari, che i processi di carie dentaria furono in Lui poco estesi e che la Sua alimentazione abituale dovette essere prevalentemente vegetariana, stante la forte sgualivatura trasversale delle superfici trituranti dei molari e dei premolari. Le caratteristiche somatiche scheletriche riscontrate, ed in particolar modo quelle craniche, hanno permesso di assodare che la razza, alla quale appartenne il soggetto in esame, e la Razza bianca europoide mediterranea, e, potremmo aggiungere della varietà orientalide. Si e potuto escludere che il cranio in esame sia appartenuto ad individuo della razza alpina armena, stante il fatto che i soggetti di tale razza hanno cranio prevalentemente tondo, brachicefalo, ed occipite fortemente schiacciato, appiattito, caratteri questi mancanti nelle nostre reliquie. Se vogliamo confrontare tra loro tre campioni della razza mediterranea, S. Domenico, oriundo della Spagna, Dante Alighieri, oriundo dell’ Italia e S. Nicola, oriundo dell’Asia Minore, possiamo dire che S. Nicola si trova collocato nel mezzo, a riguardo dei valori della grandezza cranica; le capacità craniche ad esempio sono appunto rispettivamente di 1473 cc. in S. Domenico, di 1510 cc. in S. Nicola, di 1554 cc. in Dante. Gli Orientalidi (mediterranei del versante orientale) possedevano pelle tendenzialmente più brunastra di quella dei tipi razziali del Mediterraneo centrale ed occidentale, similmente a come furono trovate le Reliquie quanto si verifica ancora oggi nei cosiddetti tipi levantini.
A priori si esclude che il popolo turco attuale possa avere avuto alcuna affinità razziale con il nostro Santo, dato che i Turchi invasero dal Turkestan l’Asia Minore circa 500 anni dopo la morte del nostro Taumaturgo.
CLASSIFICAZIONE DELLE OSSA:
La mancanza dei caratteri antropologici cutanei limita, in indagini di questo genere, le possibilità di precisazione dei tipi razziali da discriminare: comunque, nel loro insieme, fanno propendere a riconoscere nello scheletro in esame la varietà orientalìde, la statura, la costituzione prevalentemente longilinea, la robustezza media dello scheletro, la dolicocefalia, la faccia pentagonoide allungata nel mento, il dorso nasale prominente, la media larghezza nasale, la fronte ampia, gli zigomi larghi, 1’occipite arrotondato. Una ultima considerazione ci rimane a fare, a conclusione della nostra indagine. Posso dire che S. Nicola portò sempre con sè, fino alla Sua morte, il morso delle sofferenze patite per amore del Signore, al quale aveva offerta la Sua vita. La storia ci dice che S. Nicola languì per più anni in umidi e malsane prigioni, dall’età di 51 anni: l’esame delle vertebre toraciche ha rivelato che il soggetto da noi studiato soffrì di artrite cronica vertebrale apofisaria, di grave entità, sì da esitare in anchilosi (spondiloartrite anchilosante). La indagine radiologica condotta sul cranio ha fatto scoprire anche una causa di sofferenza cefalica, evidenziata da un forte ispessimento osseo interno della teca cranica, molto esteso e molto accentuato (iperostòsi endocraniòsica diffusa).
I dolori rachidei ed i dolori cefalici dovettero ricordare probabilmente a Lui quanto il carcere possa lasciare lungamente nel corpo i segni della sofferenza. Ritengo che un esame anatomico, effettuato dopo ben 1600 anni dalla morte del soggetto abbia svelato già molti dei segreti conservati nella tomba. Io ho cercato però di spingermi ancora oltre ed ho voluto tentare di vedere il volto del nostro Santo sopra i resti ossei che di Lui ci sono rimasti. Avendo avuto a disposizione numerose riproduzioni fotografiche del cranio facciale, in proiezioni svariate, frontale, laterale ed oblique, ho pensato di rappresentare su carta lucida, che fosse perfettamente trasparente, il disegno delle varie parti molli (contorno cutaneo della testa, disegno dei sopraccigli, delle palpebre e degli occhi, del naso, delle labbra, del mento, delle guance, della barba) poste a ridosso delle formazioni scheletriche ossee corrispondenti. Le diverse figure facciali, che ho ottenuto, hanno avuto una caratteristica comune molto importante, quella della rassomiglianza dei volti, per cui si poteva ben dire al loro esame che fossero aspetti diversi di uno stesso individuo. Tale fatto ha, secondo me, un valore particolarmente notevole, e potrebbe convincerci che in effetti il viso che è apparso nei vari disegni, certamente proporzionato allo scheletro sottostante, non dovrebbe essere molto dissimile da quello vero. Se il volto di S. Nicola dovesse corrispondere in realtà a quello che ho potuto ottenere dal disegno della maschera facciale eseguito sulla figura dello scheletro cranico, si potrebbe ben dire che l’effigie del nostro Taumaturgo era veramente illuminata da una luce di bontà e di idealismo ascetico quale il viso piuttosto scarno, i grandi occhi e l’ampia fronte sembrano dolcemente riflettere intorno a loro. Tra le varie effigi pittoresche del nostro S. Vescovo di Mira, che fino ad oggi ho avuto possibilità di conoscere, quella, che più d’ogni altra mi risulta più vicina ai dati antropometrici da me riscontrati, è l’effige presente nel mosaico raffigurante la Vergine con i Santi Nicola e Giovanni Battista esistente nella Cappella di S. Isidoro della Basilica di S. Marco in Venezia. Le ossa del nostro Santo Taumaturgo riposano ora nuovamente nella loro tomba gloriosa, che come pegno di fede e di amore rimane a congiungere tra loro l’Oriente e l’Occidente Cristiano, in quella Bari che è destinata a divenire, prima o poi, l’anello di saldamento dei popoli dell’una e dell’altra parte, in quella grande pace dei cuori che tutti auspicano e profondamente desiderano.
(relazione del prof. Luigi Martino, docente di Anatomia umana normale dell’Università di Bari,
Bollettino di san Nicola, numero speciale, aprile-dicembre 1957).