L’Italia realizzata con le orecchiette
In Baresità,Storie,Umorismo il

Un’Italia fatta di orecchiette. Un omaggio della Puglia al nostro Paese ai tempi dell’emergenza corona virus.
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Un’Italia fatta di orecchiette. Un omaggio della Puglia al nostro Paese ai tempi dell’emergenza corona virus.
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Un paio di anni fa ho scritto un racconto sulla focaccia barese e quello che rappresenta per la città e i suoi abitanti. In quel racconto volli evidenziare quelle che sono le unità di misura richieste dal barese quando si reca in un panificio e chiede la quantità che gli serve.
Eccole, in foto:
1) U MUÈZZECHE.
Quando il barese chiede all’amico se vuole favorire e l’amico accetta “tirando un morso” (ovviamente è il pezzettino che manca)
2) U STEZZARÌDDE.
È il pezzo che rimane sul tagliere del panificio dopo i vari tagli dati alla ruota e che, di solito, è ad appannaggio dell’amico del panettiere che staziona nel locale e chiede:”Meh, dammìue cudde stezzaridde, tande va scettàte! ” (Dammelo quel pezzettino tanto lo devi buttare!)
3) U STEZZE.
È la misura più usata. Il vero barese non chiederà mai una fetta di focaccia. Chiederà un pezzo (nu stezze), le cui misure sono variabili e si ottengono fermando il panettiere, che fa ruotare il suo coltello sulla focaccia, nel momento in cui le dimensioni sono quelle adeguate a soddisfare l’appetito del momento. Può essere poco più o poco meno del quarto di ruota
4) U QUARTE.
È un quarto di ruota, la misura più utilizzata in pausa pranzo da studenti, bancari, avvocati, ecc.
5) LA MENZA ROTE.
La mezza ruota è, invece, la misura richiesta da operai, muratori, da chi fa lavori fisicamente usuranti e da chi, in genere, ha grande appetito
6) LA ROTE.
La ruota è semplicemente la focaccia intera, così come si presenta appena sfornata. È la misura utilizzata dalle famiglie, per le feste in casa, ma anche dagli amici che si riuniscono per assistere alle partite di calcio in tv.
(Testo di Sandro Romano – Gastronomo, Giornalista, Ambasciatore della focaccia barese nel Mondo, Console per il Sud Italia dell’Accademia Italiana Gastronomia Storica)
Qui la ricetta del panettiere Giovanni Di Serio, Presidente del Consorzio della Focaccia Barese
In passato l’unghia del mignolo della mano maschile veniva lasciata crescere come segno di riconoscimento, chi la portava lunga non era dedito a lavori manuali e quindi si distingueva come impiegato d’ufficio e non come operaio. Quest’unghia, inoltre, aveva anche degli utilizzi ben specifici, per esempio veniva usata per aprire le buste delle lettere.
Oggigiorno, invece, è principalmente usata per “scaccolarsi” il naso o per pulire il proprio condotto uditivo. Chi ne fa questo uso normalmente dopo osserva soddisfatto il risultato dello scavo.
Kit e Kat scalano una montagna, Kit purtroppo cade giù, cosa dirà il triste Kat rimasto tutto solo?
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La leggenda narra che la parola “trmon” (abbreviazione di trimone), oggi largamente usata come insulto folkloristico in territorio barese, nacque durante una visita di Niccolò Piccinni nella sua natìa Bari.
Questi era all’apice del suo prestigio e successo in Francia e ogni qualvolta si spostava, portava con sè una schiera di nobili con le rispettive cortigiane.
Tuttavia, in quella occasione, come segno di decoro e rispetto, decise di tornare nella città in cui era nato senza accompagnatrici femminili.
Quindi, comunicò ai suoi fifì compagni di viaggio che avrebbero dovuto fare a meno dei favori delle loro donne. I nobili, indignati e poco abituati a sacrifici di questo tipo, gli chiesero: “Ma come faremo noi senza?”
Il buon Niccolò rispose: “Autrement” ovvero altrimenti, in altra maniera.
La voce della laconica risposta del maestro si diffuse ben presto in città ma data la scarsa conoscenza della lingua francese tra i baresi, la parola “autrement” venne contratta in “trmon” e intesa come l’atto autoerotico dei malcapitati nobili. Così nacquero….i “trmon”.
È forse il più popolare canto barese in onore di San Nicola. Il testo proposto fa parte dei lavori curati da Alfredo Giovine. Il testo è nel volume: Canti popolari religiosi baresi, Bari 1963, p. 15. La traduzione italiana è dello stesso Giovine.
SANDA NECÒLE VA PE MÀRE
Sanda Necòle va pe màre,
va vestùte a marenàre,
e ca vole la mendagnòle,
Sanda Necòle tutte d’ore.
Allègre pellegrine,
Sanda Necòle av’a partì.
Allègre marenàre,
Sanda Necòle va pe màre.
Sanda Necòle iè d’argìinde:
va pe màre a ammène u vìinde;
va pe tèrre chìine de sòle,
Sanda Necòle iè tutte d’ore.
Allègre pellegrine,…
E stasère u-am’annùsce,
(chi) li torce a (chi) li lusce,
e miràdele quànd’è bèlle,
e ca iè Sanda Necòle.
Allègre pellegrine,…
Sanda Necòle va pe m mare,
va vestùte a marenàre:
nu ca sime vergenèdde,
lu velìme acchembaggnà.
Allègre, pellegrìne,
Sanda Necòle av’a partì,
allègre, marenàre,
Sanda Necòle va pe mmare.
Sanda Necòle va pe m mare,
la Madonna iìnd’a la nache,
Gesù Criste a lu temòne,
tutte l’angiue a marenare.
Allègre, pellegrìne,…
Sanda Necòle iè d’argiìnde,
va pe mmare e ammen’u vìinde,
e u-ammène a le mendaggnòle:
Sanda Necòle iè ttutte d’ore.
Allègre, pellegrìne,…
A li 20 d’Abbrìle
Sanda Necòle partì da Mire:
Allègre, marenàre,
Sanda Necòle vène pe mmare.
Allègre, pellegrine,…
E stasèra u-am’annusce
che le torce e che le lusce.
E meràdue quand’è bbèdde,
e ca iè Sanda Necòle!
TRADUZIONE ITALIANA
San Nicola va per mare- va vestito da marinaio, – gradisce i pellegrini di montagna (gli umili), san Nicola tutto d’oro. -Allegri pellegrini, – san Nicola partirà. -Allegri marinai, -san Nicola va per mare. -San Nicola è d’argento: -·è sul mare e ci dà il vento; – è sulla terra, pieno di sole, – san Nicola è tutto d’oro.-Allegri pellegrini, ecc. -e sta sera lo porteremo in processione – con torce e luci,- e miratelo quanto è bello,- è san Nicola. Allegri pellegrini, ecc.
San Nicola va per mare,- è vestito da marinaio: noi che siamo verginelle, -lo vogliamo accompa gnare. -Allegri pellegrini, ecc. -san Nicola va per mare, – la Madonna nella culla, – Gesù Cristo al timone, – tutti gli angeli sono ma inai.
pellegrini, ecc. -san Nicola è d’argento,- Va per mare e porta il vento- e lo porta alla montanara:
– San Nicola è tutto d’oro. -Allegri pellegrini, ecc.
– Il 20 Aprile- san Nicola partì da Myra: -alle- gri, marinai, – san Nicola ora viene attraverso il mare. – Allegri pellegrini, ecc. – E questa sera lo porteremo in processione – con le torce e con le luminarie. – E miratelo quanto è bello, – è san Nicola.
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Le origini sono attribuibili agli antichi Fenici. Un impasto di miglio, orzo, acqua e sale che Catone nel II secolo A.C. “raccontava” come un impasto di forma rotonda cotto su pietra con olio d’oliva, spezie e miele. Tracce di convivialità legata alla focaccia ottenute con farine di orzo, di segale e di miglio e cotte al fuoco si trovano anche fra cartaginesi e greci. Dalla Grecia all’antica Roma il passo è breve, dove scopriamo che la focaccia veniva offerta agli Dei per poi balzare all’epoca rinascimentale e scoprire che veniva consumata assieme al vino nei banchetti di nozze. Tutte esperienze che ne “certificano” la sublimità di questo semplice e gustoso alimento.
La focaccia oggi in Italia è molto diffusa ma se ne contendono la paternità in particolare 2 Regioni: Puglia e Liguria.
In particolare in Puglia è molto forte la tradizione ed è diffusa in tutte le sue province ma è a Bari (o nel barese in genere) che trova la sua “patria”. Nasce probabilmente ad Altamura o Laterza, come variante del tradizionale pane di grano duro, per utilizzare il calore prodotto inizialmente del forno a legna per la cottura del pane ma non ancora alla temperatura ideale per cuocerlo. Pertanto, prima di cuocere le pagnotte classiche veniva steso un pezzo di pasta di pane cruda su una teglia, lo si lasciava riposare un po’, dunque lo si condiva e infine lo si cuoceva.
La leggenda della focaccia barese deve la sua popolarità negli anni recenti grazie ad una storia vera, da cui è stato anche tratto un film “Focaccia Blues” che ricorda la battaglia di Davide contro il gigante Golia. Già, perché qualche anno fa la notizia ha fatto il giro del mondo e pubblicata addirittura su New York Times. (Nel film compaiono in piccoli ruoli gli attori Michele Placido, Lino Banfi e Renzo Arbore).
ll colosso americano McDonald’s apre un fast food nel piccolo comune di Altamura nella stessa strada dove c’era un panettiere che vendeva la famosa focaccia del sud.
Il piccolo panettiere fa chiudere i battenti al colosso americano umiliandolo e costringendolo alla fuga “l’unicità dei sapori vince sulla riproducibilità dei menù”. Oggi, la focaccia barese è lo snack per eccellenza nella città pugliese. Spesso sostituisce il pranzo, accompagna le cene o viene degustata in ogni momento della giornata per fare merenda o per colmare un piccolo senso di fame.
Spesso la si mangia solo per semplice sfizio e viene degustata anche passeggiando per strada incurante del rischio di sporcarsi con i pezzi di pomodoro. “Il gioco vale la candela” come si suol dire. Oggi queste emozioni non hanno solo un territorialità specifica, e la focaccia barese è arrivata anche al nord Italia.
Trattandosi di un prodotto della tradizione gastronomica popolare, la ricetta presenta numerose varianti perlopiù in base alla collocazione geografica.
Nella sua versione più tipica, la base della focaccia si ottiene amalgamando semola rimacinata, patate lesse, sale, lievito e acqua così da ottenere un impasto piuttosto elastico, molle ma non appiccicoso, che viene lasciato lievitare, steso in una teglia tonda unta con abbondante olio extravergine d’oliva, quindi lasciato lievitare di nuovo, condito e cotto, preferibilmente in forno a legna.
L’olio viene anche versato sulla superficie della focaccia insieme al condimento.
Esistono tre varianti legate alla tradizione:
– la focaccia per eccellenza che prevede la presenza di pomodorini freschi e/o olive nere baresane,
– la focaccia alle patate, ove l’intera superficie e ricoperta da fette di patate spesse circa 5 mm,
– la focaccia bianca condita con sale grosso e rosmarino.
Oggi, la focaccia, ha subito diversi cambiamenti e trasformazioni attraverso l’aggiunta di altri ingredienti posti sulla sua superficie: peperoni, melanzane, cipolle e altri tipi di verdure.
Cliccando QUI potete trovare la ricetta della Focaccia Barese del panettiere Giovanni Di Serio, Presidente del Consorzio della Focaccia Barese
‘Mmènz a tutt l’anmàl ca stònn o’mùnn
stè iùn ca ind a’mmàr, a’ffùnn a’ffùnn,
pass la vita sò jìnd a nu mod stran,
dìscjn ca iè fess e ca mà advent’anziàn…..
……U pulp!Tìnr d’cor, d’la plòs iè‘nnamràt
e stu fatt, sop alla terr, tant s’ha sputtanàt,
ca p’pizzcàu non gj’vol tand’esperiènz,
avàst nu spag, nu stezz d’plòs e la pascènz.
La chèdd du pulp,allòr, iè na vit’amàr,
ma u’chiù sfrtnàt iè cudd ca nàscj a Bbàr:
la vita so, iè normàl, all’ald vànn d’la tèrr,
ma ddò p’jìdd iè na traggèdj, iè pèscj d’na uèrr.
Appèn ven pizzcàt, accòm ved la prima lùscj,
all’anvàm nu muèzzc’ngàp, angòr s’n’fùscj;
e minz stirdsciùt, pu dlòr e pu scjkànd,
ind a’nnudd s’send’trà tutt l’malàndr.
Non fàscj’attìmb a pnzà: ”Ma cuss iè mmàtt?”…
Ca u’Barès u’auànd e u’accmmènz a sbatt
k’tutt la forz e l’nirv sop all chiangùn,
l’cirr s’arrzzèscjn e ièss tanda scjkùm.
La tortùr non ha frnùt, u Barès insìst
e fort scduèscj u’pulp ind o’canìstr:
cert, p’tutt esìst la nascìt, la vit e la mort,
ma chedd du pulp barès iè na vera malasòrt!
Fra tutti gli animali che esistono al mondo
ce n’è uno che, nel mare più profondo,
vive la sua vita in un modo strano,
dicono sia un ingenuo e che mai diventi anziano.
…..Il polpo, tenero di cuore, è,del gambero, innamorato
e sulla terra, questo, è tanto noto,
che, per pescarlo, non occorre tanta esperienza:
basta uno spago, un pezzo di gambero e la pazienza.
Quella del polpo è, allora, una vita amara,
ma il più sfortunato è quello che nasce a Bari:
la sua vita è normale, nel resto della terra,
ma qui,per lui, è peggio di una guerra!
Appena viene pescato e vede la prima luce,
subito un morso in testa, perchè non scivoli via;
e, mezzo stordito dal dolore e dallo spavento,
in un attimo si sente già svuotare il ventre.
Non ce la fa più e pensa:-Ma questo è matto!-
Ma il Barese lo afferra e comincia a sbatterlo
con tutta la forza e i nervi sugli scogli,
i tentacoli si arricciano e fanno tanta schiuma.
La tortura non è finita, il Barese insiste,
e con forza muove il polpo dentro un cesto;
certo,per tutti esistono la nascita, la vita e la morte,
ma quella del polpo barese è una vera malasorte!
(Vito Bellomo)
In Festività,Natale,Storie,Umorismo il
Quando si dice che a Natale si respira un’aria “diversa” non è un luogo comune.
L’allegria negli occhi dei bambini, la semplicità di un sorriso spontaneo di un passante o la città addobbata con mille luci.
Basta questo per dire che è già Natale.
E’ innegabile quindi, definirlo un periodo particolare che da una carica diversa alla vita di tutti i giorni dell’anno. Un periodo dell’anno in cui si ha il piacere di rispolverare e compiere gesti antichi e rituali che sembrano rimanere immobili nel tempo.
Il presepe, l’albero, i regali, le luminarie, i cenoni, sono tutto questo.
Anche se siamo nell’epoca dei tablet e degli smartphone, il Natale è da sempre sinonimo di tradizione piuttosto che di innovazione. Ecco che durante questa festività si torna un po’ indietro nel tempo e si riscopre un gioco antico e semplice: la tombola.
La tradizione che lega il Natale alla tombola è di lunga data, essendo un classico “gioco d’azzardo” non si vince per l’abilità del giocatore ma per la sola fortuna della estrazione dei numeri, con questa “abilità” possono giocare anche i bambini che in altri giochi sarebbero esclusi.
Anni fa, a Bari, con i “nostri nonni” durante il gioco si mangiavano “i mandarini o i clementini” la loro “buccia” strappatta in pezzetti serviva a coprire i numeri sulle cartelle, o magari posizionata sul termosifone o la stufa per far evaporare l’odore di arancia in tutta la casa.
Durante il gioco si estraevano i numeri, in genere accompagnati da commenti in rima e filastrocche in modo da mettere brio e freschezza alla ripetitività del gioco. L’annuncio generalmente include va anche citazioni derivanti dallla tradizionale smorfia napoletana, la stessa che anima le allegorie del piu’ famoso gioco del lotto.
Per cui ecco che che la Paura faceva 90, il Natale 25, il morto che parla il 48 e il numero 77 le gambe delle donne, che tanto divertiva i piu’ piccini.
Oggi tutto (o quasi) avviene allo stesso modo. Forse non c’è piu’ la stufa con la bombola del gas ma il rituale è lo stesso. Anzi a Bari, le allegorie, legate ai numeri estratti, non vengono ricondotte solo alla smorfia napoletana ma anche alle nostre piu’ antiche tradizioni e personaggi della storia locale.
Che Natale sarebbe senza l’ambo, il terno, la quaterna o la cinquina?
Noi di caminvattin.it vi auguriamo tanta fortuna a Tombola… e nella vita!!
(fonte testo www.ilovemolfetta.it)
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